La val di Genova

La Versailles delle Alpi viene chiamata, nessuna fontana ma cascate che scendono da ogni lato, corsi d'acqua e il Sarca che ora placido ora impetuoso, ora in piano ora con cascate imponenti e rumorose, è una costante attrattiva per tutta la valle.
E' nata quasi per caso l'escursione e nemmeno tale la posso definire. Volevamo fare solo turismo, saliti col bus fino a malga Bèdole, abbiamo continuato, con curiosità crescente, a scoprire nuovi orizzonti fino a poco sopra malga Materot, sulla valle omonima, con vista sui contrafforti delle Lobbie e quasi sul fronte del ghiacciaio da cui scende una lunga cascata di fusione, poi la discesa a piedi fino a Ponte Rosso in un circo d'acqua come solo un fiume di montagna come il Sarca sa regalare. La giornata di oggi è madre di nuovi progetti, di tante escursioni e non solo, anche di un'amore, una potente attrazione verso l'Adamello, questo sconosciuto.


Ieri è ci siamo limitati ad una passeggiata, dal rifugio Viviani abbiamo raggiunto il rifugio Tuckett, rientro al rifugio Grostè e da lì di nuovo sotto pioggia battente fino alla stazione di mezzo per il rientro a valle; di più non ci è stato dato, la bocchetta di Tuckett era lassù in alto, affascinante come tutto quanto lì in torno, ma con la minaccia del temporale che è diventato più tardi la consueta certezza di tutti i giorni, ci è andata bene così. Notevole comunque l’andata e ritorno sopra Vallesinella e manco troppo leggera. Veniamo ad oggi, condizionati sempre dal monitoraggio del meteo con la speranza di una apertura che durasse tutta una giornata prima della fine delle nostre vacanze e che si stava concretizzando per domani, come al casinò ci abbiamo puntato tutto, obiettivo il Sentiero dei Fiori, e dovevamo arrivarci freschi e motivati; necessariamente oggi toccava segnare il passo e darsi una regolata ed abbiamo pensato ad una giornata di turismo. Armati comunque di Zaino e scarponi e di sola voglia di bighellonare siamo scesi fino a Carisolo e abbiamo imboccato la val di Genova, non avevamo pretese, sapevamo che sarebbe stata super affollata ma ci andava bene anche solo farci un’idea di questa valle che si incastra lunga e larga dentro il gruppo dell’Adamello e che per ovvii motivi abbiamo sempre accuratamente snobbato. Ci siamo dovuti, come spesso accade, ricredere, snobbandola così clamorosamente fino ad oggi abbiamo commesso un grosso errore, è stata una piacevole grande sorpresa e alla fine non abbiamo affatto bighellonato e tantomeno ci siamo riposati, poco male. E’ stata una bellissima esperienza, nemmeno troppo superficiale, e soprattutto madre di nuove idee e di una amore potente e nuovo per una montagna che non conoscevamo affatto. Quello di oggi è il racconto di una giornata atipica, senza vette, senza avventura, solo ricchissima di stimoli che creeranno progetti, di soprese e di un forte contatto con una natura, che per quanto sfruttatissima e alla portata di tutti, è potente e rigogliosa. Alle porte di Carisolo, scendendo da S. Antonio di Mavignola, si imbocca sulla destra la Val di Genova, quasi subito stretta di incunea tra monti boscosi per una ventina di chilometri; non è completamente percorribile in auto, forti sono le restrizioni e aggiungo per fortuna; la prima sosta del tutto turistica per vedere da vicino la cascata Nardis si fa a circa l’ottavo chilometro della valle, segnaletiche turistiche sono abbondanti di certo non la si perde; la cascata Nardis viene annoverata come quella più alta del Trentino, scende dal gruppo della Presanella e col suo salto di 130m. è una forte attrattiva, facile da raggiungere e molto turistica visto che confluisce a valle a pochi metri dalla strada e a poche centinaia di metri da un parcheggio; la strada ci corre sotto, noi per non stare in fila alle comitive ci siamo allungati attraverso un sentiero che scorre nel bosco dalla parte opposta del Sarca. Notevole l’impatto visivo delle alte placche levigate dallo scorrere dell’acqua che appoggiano con una pendenza minima del 60%; le comitive gli tolgono molto del suo fascino, l’abbiamo vista e fotografata e ritorniamo velocemente alla macchina. Ripassiamo in auto sotto la cascata e continuiamo a salire su strada asfaltata che via via si restringe, e costeggia il Sarca, il fiume che nasce dal ghiacciaio delle Lobbie e che diventerà immissario del lago di Garda, che poi diventerà il fiume Mincio prima di confluire nel Po e raggiungere così l’Adriatico. Angoli suggestivi del fiume che scorre tra un folto bosco di abeti e larici che arrivano fin al limite dell’acqua si possono ammirare dalla strada, anse placide e larghe, inconsistenti nebbie a livello del fiume, anche se non ci sono mai stato sembra essere nel Montana, sembra di essere su una scena di “In mezzo scorre il fiume”. Avevamo il passi per salire fino in cima alla valle, ma causa le soste alla cascata, e quelle per fare qualche foto ai suggestivi tratti del fiume, quando siamo arrivati in località Ponte Rosso eravamo ormai fuori tempo massimo, i blocchi erano scattati e la strada era sbarrata, si saliva solo con i pulmini messi a disposizione dall’ente parco, erano già lì pronti ad accogliere i primi turisti. Tutto molto funzionale e trovo anche giusto. Saliamo sul primo pulmino che parte da lì a poco, mica male prendersi un passaggio, guardarsi un po’ intorno e godersi questa valle da fiaba; la strada, molto più stretta da qui in poi, inizia subito ad inerpicarsi; stretti tornati, salite ripide, il torpedone stenta a salire e sono ansiogeni i versanti che precipitano sul Sarca incassato un metro più in là; superiamo Todesca, piccolo agglomerato di baite dove il tempo sembra essersi fermato, dopo qualche chilometro Malga Caret, una vecchia fattoria dove noto dei tavoli esterni e quindi funzionante come punto ristoro, altri tre chilometri circa e raggiungiamo la spianata di Malga Bèdole, quota 1600m.da qui in poi si va a piedi. Va detto e con enfasi, è un trionfo della montagna, un luogo paradisiaco, la montagna come la disegnerebbe un bambino, una valle verdissima, montagne importanti e rocciose intorno e l’occhio che viene condotto in alto, dove si va chiudendo e termina la val di Genova, dove spicca il muro di placche che anticipa le Lobbie e il mondo fatto di ghiacciai ormai purtroppo non più eterni. A lungo siamo stati un po’ indecisi su da farsi, eravamo fermi nell’idea di vivere una giornata di mezzo, l’escursione al Sentiero dei Fiori di domani rimaneva prioritario; lentamente raggiungiamo il rifugio Bèdole, una bellissima costruzione incastonata tra i boschi tra punte rocciose fino ad oggi sconosciute. Un occhio alla carta, il rifugio Trento è troppo lontano e troppo in alto anche solo a pensarlo, decidiamo di continuare lungo il Sarca, senza una meta, solo per gustarci la valle e il fiume. Il sentiero si inoltra all’interno del fitto bosco, puntiamo il ponte delle Cambiali, toponimo che leggiamo sulla carta, sale con qualche tornante scivoloso fino a raggiungere il ponte 20 min. dopo il rifugio, sorvola una stretta e alta forra formata dal Sarca che scorre e rumoreggia impetuoso una ventina di metri sotto; entusiasmanti gli scorci intorno alla forra, stavamo scoprendo una montagna diversa, alta, impervia, rocciosa, scalfita continuamente da cascate d’acqua, il bosco umido e fitto, stavamo scoprendo una nuova passione e ce ne stavamo rendendo conto poco alla volta. Non potevamo fermarci lì, la parte alta della valle chissà cosa ci avrebbe regalato, dovevamo almeno affacciarci più su per darci delle risposte. Dal bosco il sentiero esce dopo qualche Sali e scendi e ci rifà prendere la brecciata che saliva dal Bèdole, per poco, uno spiazzo più su si chiude su una sentiero dove una tabella indica l’inizio della via 241 per il rifugio della Lobbia Alta, da dove parte la teleferica di servizio per il rifugio del Mandrone, meglio conosciuto come Città di Trento; ho un sussulto, la Lobbia Alta, che insieme a quella Bassa e a quella di mezzo formano dei pulpiti incredibili sul ghiacciaio dell’Adamello, quelle vette e quel rifugio di cui ho letto e vagheggiato leggendo Meridiani Montagne; ma davvero si poteva salire al rifugio dei Caduti dell’Adamello (sulla carta viene riportato questo toponimo) direttamente dal val Genova? Non era mai entrata nei miei orizzonti questa meta, e non avevo raccolto informazioni a riguardo; per salire al rifugio dei Caduti dell’Adamello attraverso il sentiero 241, sono 1600 i metri di dislivello da salire, dal rifugio Bèdole nell’alta val di Genova, puoi sulla più austera Val Materot, lungo il Sarca che lentamente si assottiglia, a fianco delle sorgenti del Sarca stesso, che sono poi le cascate di fusione del ghiacciaio della Lobbia, lungo le placche levigate dal ghiacciaio quando era esteso fino a valle e sotto le coste delle varie Lobbie, aiutati da cavi di un percorso attrezzato nei momenti più austeri… La mia fantasia galoppava, si accavallavano idee che diventavano già smanie, vedevo la salita allungarsi e concatenarsi con un percorso sul ghiacciaio, era più o meno chiara una tre giorni sull’Adamello, tra il rifugio della Lobbia Alta e quello della Città di Trento sotto il versante di cima Presena… scalpitavo e volevo continuare a salire per scoprire di più. Con la scusa di raggiungere almeno la baita Materot continuiamo a salire, frequenti ripidi tornanti, qualche tratto di scaloni di larice molto scenografici e turistici, ci sorprende la dorsale che aggiriamo in salita, che non finisce mai, ma non molliamo ed entriamo dentro la valle del Materot; si apre un mondo ancora nuovo, entusiasmante, solitario, grigio, proteso sul circolo glaciale levigato che chiude la valle e dove scivola una lunga cascata che nasce proprio dal fronte del ghiacciaio stesso che non possiamo ancora scoprire… il sentiero entra nella valle mentre questa si allarga lasciando spazio alla luce, una passerella su due trochi di larice attraversa un ramo secondario del Sarca, subito dopo un vero ponte attraversa il ramo primario, già impetuoso; si continua al limitare del bosco e al limitare del fiume, si sale lenti dentro la valle che si confonde spesso col greto del fiume; si palesa il profilo di salita del sentiero sul margine destro della valle, sotto le pareti delle Lobbie, da qui difficile leggerle come le ho viste dalle riviste, cerco di immaginare la salita sulle placche levigate, avrei voglia di stare lì, avrei voglia di affacciarmi molto più su sulla sella della Lobbia Alta quando tutto insieme immagino apparire il ghiacciaio. Sognavo ad occhi aperti come se quella valle meravigliosa e austera e appena conosciuta che avevo davanti non mi bastasse già più. Mi stavo follemente innamorando di questi ambienti così diversi, di questa montagna, un massiccio, grande, di più, enorme e tutta da conquistare, lentamente, con fatica, fino all’affaccio strepitoso sul ghiacciaio. Continuiamo per un po’ fin tanto non ci sentiamo stupidi, non potevamo salire ancora, lo sapevamo, non avremmo ottenuto altri orizzonti, non potevamo salire su quelle placche, oggi non eravamo pronti e attrezzati. Ma avevamo piantato un seme nuovo, toccava solo farlo germogliare e crescere. Torniamo indietro, per la stessa via, assaporando lentamente un mare di emozioni, lo scorrere rumoroso del fiume, i contrasti dei colori delle pietre bianche con l’acqua di fusione grigia, il verde vivace dei larici che si perde nel grigio delle nuvole, dell’acqua stessa e delle placche più in alto e intorno, la vastità e l’isolamento della valle, i ponti, le passerelle, stavamo lasciando un pezzetto di cuore e di testa dentro la valle Materot. Sostiamo al rifugio Bèdole per pranzare, ci arriviamo in poco più di 45 minuti, siamo all’aperto nonostante il grigio che si ammucchia sulle teste, con vista guglie del Cimon delle Rocchette, un rispettabilissimo 3300 pieno di affilate creste, il rischio pioggia è più che incombente ma non ci scoraggiamo; dura poco il limbo dell’incertezza, è così tanto incombente la pioggia che dobbiamo ripiegare all’interno del rifugio, è impossibile quest’anno, la pioggia non ci dà tregua un solo giorno. Per fortuna dura poco oggi, si fa l’ora di rientrare e ci incamminiamo fino all’area sosta, ed è lungo questo breve tratto che Marina mi sorprende, probabilmente sottovalutando l’impegno: perché non scendiamo a piedi, in fondo si tratta solo di scendere… io non rifiuto, prendo solo la carta, gli faccio notare che sono più di 10 i chilometri di discesa e 500 i metri di dislivello, ma lei ribadisce … tanto è discesa (dice lei), ripiego la carta mentre mi stavo già avviando; è nata così la seconda parte della giornata, diversa ma non meno interessante della prima, sarà un’altra grande sorpresa. Il sentiero è quello delle cascate, corre praticamente su tutta la val di Genova, di certo è più agevole in questo senso che in salita ma farà comunque venire meno il proposito di far rimanere quella di oggi una giornata tranquilla. Seguiamo una traccia che scende di lato al fiume, si perde nella boscaglia, qualche guado di affluenti secondari e ci ritroviamo sulla strada, ne riusciamo per un brave tratto ma alla fine ci riporta di nuovo sulla strada, quando la valle si riallarga, nei pressi di piccoli stagni dove ruminano placide molte mucche il sentiero ritorna a scendere accanto al fiume, anche dentro il suo letto per alcuni tratti. Si attraversano pratoni erbosi che costeggiano placide e larghe anse, si costeggiano forre dove la corrente diventa impetuosa, si passa sopra e accanto salti impressionanti di muri d’acqua come la cascata Pedruc e poche centinaia di metri dopo riprende il lento e silenzioso scorrere. Un piano erboso nei pressi della Casa di caccia, scopriamo essere una delle poche torbiere alpine, il sentiero ci passa sopra con delle passerelle e il fiume è sempre lì accanto che scorre più o meno rumoroso; pura illusione quella che il sentiero sia in continua discesa come le linee di livello lascerebbero intuire, si ripassa il fiume con un altro suggestivo ponte, si aggira una forra che nemmeno vediamo risalendo un costone, si entra nel fitto del bosco tanto che non si sente più nemmeno lo scorrere dell’acqua, ci si riavvicina al corso del Sarca poco dopo la località della Casina Muta, nei pressi di una cascata alta e impetuosa, impressionante, alza una nuvola d’acqua e tocca scappare di corsa; con pochi discostamenti il sentiero riprende di nuovo a costeggiare il fiume che nel frattempo raccogliendo affluenti da ogni dove aumenta e ancora di portata; raggiungiamo il piccolo borgo di baite sparute, Todesca, un idilliaco quanto poetico e struggente ambiente alpino, una vera cartolina. Si ripassa il fiume, stavolta su un ponte carrabile ma sempre in legno, e inizia l’ultima ripida sconnessa discesa mentre riprende a piovere debolmente, figurati se ce la risparmiava, il Sarca si inabissa ancora dentro una profonda forra, ogni tanto il sentiero scorre sul suo ciglio e alla fine, dopo 3 ore da Bèdole raggiungiamo l’area di parcheggio di Ponte Rosso, dove la mattina abbiamo preso il pulmino per salire. E’ stata tutto meno che una giornata riposante, è stato come scorrere un film con continui cambi di scena diversi ma sempre molto emozionanti; per ora non pensiamo al Sentiero dei Fiori di domani cui non rinunceremmo per tutto l’oro del mondo, ci teniamo stretta la val di Genova, un’autentica sorpresa, pensavamo di scontrarci con un flusso continuo di turisti ed invece, a parte il momento intorno alla cascata Nardis, è stato un profondo contatto con una natura imponente, una montagna diversa, ricca di acqua che scende da tutti i lati. La val di Genova viene anche chiamata la Versailles delle Alpi, oggi ne abbiamo capiamo il motivo. Ci portiamo a casa un amore nuovo verso l’Adamello, montagna fino ad oggi sconosciuta, un’idea, più di un’idea per una lunga escursione che speriamo poter fare i prossimi anni. Domani saremo sull’altro versante di questa montagna, quasi sopra la val di Genova, sarà bello capirne meglio l’orografia e se solo il meteo non ci tradirà sarà di nuovo un grande successo, questa volta del tutto programmato e tantissimo atteso però.